Nomofobia: la paura di essere disconnessi
La si potrebbe descrivere come una fobia al passo con i tempi; una paura che viaggia sullo stesso binario della modernità. La nomofobia è un concetto attuale poiché, attuale è il disagio che descrive. Strettamente connessa alla disconessione dalla realtà, la nomofobia esprime l’ansia di non essere online, non tanto nel quotidiano quanto nel virtuale.
Nomofobia è l’abbreviazione di “no mobile phobia” e descrive quel forte stato d’ansia collegato al timore di non avere il telefono a portata di mano, e, di conseguenza, alla paura di essere tagliati fuori dal web, a svantaggio della propria reperibilità e delle informazioni che orbitano attorno ad una dimensione che è tutto fuorché reale.
Caratteristiche della nomofobia
Chi soffre di nomofobia vive nella costante paura che gli altri non riescano a trovare un modo per contattarlo. Questo perché essere offline, oggi non vuole dire solo mancata comunicazione telefonica ma corrisponde anche all’essere estraniati da quella dimensione, qual è il social, insidiatosi nelle nostre vite in modo completamente intrusivo. E così, pur di evitare che questa condizione si verifichi, la persona nomofobica instaura un rapporto simbiotico con il suo cellulare, rendendolo parte della sua vita in maniera patologica, consultandolo nei posti più impensabili, come il bagno e la camera da letto, annullando l’intimità di tali circostanze. La nomofobia è stata paragonata ad una tossicodipendenza proprio per il tipo di rapporto che si instaura tra il soggetto ed il telefono.
Come si manifesta la nomofobia
Bisogna dire che questa tipologia di ansia coinvolga soprattutto i nativi digitali, ovvero i “nati sotto il segno del web” e che, per questo, si pongono come individui a più alto rischio. I bersagli più semplici sono, di sicuro, i giovani adulti contrassegnati da bassa autostima e potenziali problemi sociali. La risultante è l’utilizzo dei social, da parte di questa categoria, proprio per crearsi quella cerchia di amici che, nella quotidianità non si è in grado di costruire. Un soggetto si definisce nomofobico se:
- trascorre buona parte del suo tempo con il telefono;
- possiede più di un dispositivo;
- è solito portare un caricabatterie con sé, per evitare che il telefono non sia più utilizzabile;
- controlla costantemente il telefono per evitare di perdersi chiamate, messaggi e notizie varie;
- il telefono fa parte di ogni suo ambiente (fisico) quotidiano, tanto da portarlo nei posti più impensabili;
- ha timore di non avere una connessione wi-fi a disposizione;
- annulla eventi o attività, preferendo la connessione al virtuale piuttosto che la disconnessione da esso;
- dorme con il proprio dispositivo.
Per soddisfare una diagnosi di nomofobia è importante che tutti i fattori, sopra elencati, siano considerati. Nella persona nomofobica, i sintomi corrispondono ad un vero e proprio attacco di panico. Nel momento in cui il telefono manca, la connessione scarseggia, e le informazioni dell’online sono irraggiungibili, infatti, questi soggetti manifestano vertigini, mancanza di respiro, tremori, sudorazione e nausea.
Per approfondire: Quando (e perché) l’uso dei social media genera ansia
Nomofobia e dipendenze: quali correlazioni?
Molti studi hanno paragonato la nomofobia ad una dipendenza, in quanto, il meccanismo che la contraddistingue, segue le stesse dinamiche patologiche della dipendenza stessa. Le neuroscienze ci spiegano che l’attaccamento allo smartphone provoca un malfunzionamento della dopamina, il neurotrasmettitore della ricompensa. Ciò significa che le persone vengono incoraggiate, in alcuni casi, in modo del tutto disfunzionale, dalle loro funzioni cerebrali, a svolgere attività che gli procurano piacere. In questo modo, ogni volta che appare una notifica sul cellulare, i livelli di dopamina aumentano perché si è portati a pensare che i messaggi che arriveranno avranno dei contenuti, per noi, stimolanti.
La cura
Curare la nomofobia prevede due tipologie di approcci terapeutici:
- terapia della desensibilizzazione: i soggetti, attraverso passi graduali impareranno ad affrontare le loro paure. La terapia della desensibilizzazione prevede, infatti che gli individui affetti da nomofobia vengano seguiti, e guidati a cambiare le loro abitudini malsane, appropriandosi di quelle più sane. Nel caso specifico, un esempio è quello di lasciare il telefono in altre stanze, sviluppando un graduale allontanamento a vantaggio del paziente;
- terapia cognitivo comportamentale: il secondo approccio terapeutico si riferisce all’individuazione dei punti critici di una problematica, per scardinarli e costruire dei modelli cognitivi non tanto improntati sulla positività quanto sul realismo che li permea e che, spesso, si fa difficoltà a vedere.
Alcune diritte
Se si nota che il rapporto con il proprio telefono inizia a rappresentare un intralcio importante nella propria vita, è possibile mettere in atto alcuni comportamenti risolutivi:
- porre dei limiti: stabilire dei momenti particolari in cui utilizzare il telefono è un buon modo per rendere quest’ultimo un’utilità piuttosto che una dipendenza;
- fare delle pause: proprio sulla base della teoria della desensibilizzazione, il distacco dal legame disfunzionale non può essere radicale ma graduale. Cominciare a sospendere l’uso del telefono, all’inizio per brevi momenti e poi per durate più importanti è una soluzione pratica ed intelligente. Dispensate dalla formula “tutto e subito”;
- ricorrere ad altre soluzioni per occupare il proprio tempo: spesso, anche se non ce ne accorgiamo, il telefono subentra per noia. In queste circostanze, l’alternativa è quella di occupare il tempo non con ciò che ci da noia ma con ciò che ci piace.
È chiaro come il problema da debellare non sia il telefono in sé, strumento, tra l’altro, di scaltro utilizzo, ma il modus di rapportarci ad esso. Allontaniamo la credenza che per sradicare un problema bisogna debellarlo e focalizziamoci sul fatto che, invece, è opportuno convivere con esso, per risolverlo.
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