Il disturbo d’ansia sociale in età evolutiva

ansia sociale

Il disturbo d’ansia sociale in età evolutiva

Cos’è il disturbo d’ansia sociale

L’Ansia Sociale (o Fobia Sociale) è una condizione ansiosa caratterizzata dalla paura e dal conseguente evitamento, più o meno esteso, di situazioni nelle quali il soggetto si sente esposto al giudizio degli altri. 

Infatti, chi soffre di ansia sociale vive in costante timore di mostrarsi imbarazzata, di apparire ridicola ed incapace o di comportarsi in maniera inopportuna, impacciata ed umiliante di fronte ad altre persone, conosciute o sconosciute.

Questo timore (che spesso si traduce in vergogna) porta il fobico sociale a sentirsi costantemente “sotto esame” e considerare come delle vere e proprie prestazioni tutti quei momenti sociali che fanno parte della vita quotidiana, come, ad esempio, mangiare in compagnia, esprimere un’opinione in pubblico o firmare un documento di fronte ad altri.

Come si manifesta il disturbo d’ansia sociale in età evolutiva

Quando si parla di disturbo d’ansia sociale, solitamente ci si riferisce a una sintomatologia che colpisce prevalentemente persone adulte (in particolare, lavoratori). Tuttavia, negli ultimi anni, è stata rivolta l’attenzione verso le manifestazioni di sintomi di ansia o fobia sociale in altre fasce d’età. Uno studio americano del 2019, infatti, ha evidenziato che i casi di ansia sociale sono in crescita tra bambini e adolescenti.

Durante l’infanzia, l’ansia sociale può prendere la forma di paure e insicurezze legate alla separazione dai genitori, alla perdita di oggetti considerati particolarmente importanti o al dover affrontare situazioni sociali (es: primo giorno di scuola, feste di compleanno, saggi o recite scolastiche, ecc.) in cui il bambino si sente vulnerabile. Se questi sentimenti negativi risultano costanti e perdurano per oltre sei mesi, è possibile che il bambino stia sviluppando un disturbo di ansia sociale.

Nella fascia adolescenziale, la paura del giudizio degli altri si fa più intensa e i sintomi dell’ansia sociale si manifestano in modo più ingombrante: l’adolescente ricerca l’accettazione del proprio gruppo sociale ma, allo stesso tempo, nutre un forte timore di essere rifiutato, escluso o giudicato negativamente. Questi sentimenti possono portare all’evitamento di situazioni ed eventi sociali e, nei casi più gravi, anche all’abbandono scolastico.

In età evolutiva, l’ansia sociale si presenta solitamente con sintomi di tipo fisico, cognitivo e comportamentale.

  • A livello fisico, tra i sintomi più comuni vi sono sudorazione, tachicardia, senso di soffocamento, pianto incontrollato, insonnia e problemi gastrointestinali.
  • A livello cognitivo, l’ansia sociale provoca una “svalutazione” di sé: il soggetto costruisce un’opinione alterata di sé stesso e delle proprie capacità, considerandosi inferiore e inadeguato rispetto al gruppo dei pari, rispetto agli obiettivi che si era prefisso o rispetto a come sente di dover essere. Questi pensieri negativi diventano sempre più ingombranti e portano il soggetto a evitare situazioni sociali, a sentirsi escluso dal contesto e a considerarsi incapace di affrontare il mondo circostante. 
  • A livello comportamentale, l’ansia sociale conduce i soggetti ad isolarsi ed evitare tutte quelle situazioni “minacciose” in cui rischiano di trovarsi al centro dell’attenzione o essere oggetto di giudizio.

Come intervenire

Per affrontare e risolvere il problema dell’ansia sociale durante l’infanzia e l’adolescenza, è necessario, innanzitutto, prestare molta attenzione ai segnali di disagio che provengono da bambini e adolescenti, così da individuare il disturbo in modo tempestivo e intervenire prontamente, rivolgendosi a uno specialista.

Come avviene per altre forme di disturbi d’ansia, anche per l’ansia sociale il metodo di trattamento più efficace e più comune è quello della terapia cognitivo-comportamentale (anche chiamato “CBT”, Cognitive Behavioral Therapy).

L’intervento impostato con il metodo della CBT si compone della integrazione di vari elementi.

La psicoeducazione, ovvero una presentazione didattica di informazioni circa la natura e la fisiologia del disturbo d’ansia di cui soffre. La psicoeducazione risponde all’esigenza di chi soffre di sapere cosa gli sta accadendo, conoscere i sintomi e le possibili cause del proprio disturbo, ma anche apprendere com’è possibile intervenire, quali tecniche usare, com’è possibile ridurne effetti e complicanze.

Il monitoraggio dei sintomi, che consiste nell’istruire il paziente è istruito dallo specialista a riconoscere correttamente i sintomi specifici della propria ansia o del proprio attacco di panico, le situazioni eventualmente ad esso collegate (nel caso, ad esempio, in cui siano presenti attacchi di panico scatenati e dipendenti da un contesto situazionale) e i comportamenti funzionali o disfunzionali da lui messi in atto per fronteggiare il malessere.

Le tecniche di rilassamento corporeo, che includono la tecnica del respiro lento, gli esercizi di rilassamento muscolare isometrico e i training di rilassamento (Training Muscolare Progressivo di Jacobson e Training Autogeno di Shultz). Questi esercizi sono finalizzati a ridurre l’attivazione fisiologica dell’arousal ansioso, agendo sui correlati somatici dell’emozione dell’ansia. Di dimostrata efficacia si sono dimostrate anche le pratiche meditative, come la Mindfulness, volte ad incrementare la consapevolezza di sé.

Le tecniche cognitive, ovvero la ristrutturazione cognitiva dei pensieri disfunzionali, sono finalizzate alla modulazione e modificazione di interpretazioni “catastrofiche” relative ai sintomi del panico e dell’ansia, tramite un rigoroso esame di realtà ed una discussione con il paziente circa la fondatezza di tali assunzioni erronee e fonte di sofferenza soggettiva.

Le tecniche comportamentali, ovvero l’esposizione agli stimoli interni temuti e vissuti come minacciosi. Seguendo i principi della gradualità e della progressività, il paziente viene esposto ad una gerarchia di situazioni ansiogene, al fine, da un lato, di riconoscere ed eliminare le condotte di evitamento disfunzionali e, dall’altro, di potenziare i comportamenti adattivi funzionali.