Atelofobia: quando si ha paura di non piacere

Atelofobia quando si ha paura di non piacere

Atelofobia: quando si ha paura di non piacere

Perfetto, nel vocabolario etimologico vuol dire “Alla pari dell’essere supremo che non ha difetti”.
Ma perché l’essere umano cerca, continuamente, di somigliare a qualcun altro?
Come mai nutre questo disperato ed ossessivo bisogno di attenzioni se poi, il più delle volte, punta alla solitudine? Perché lo eccita così tanto il fatto di essere delineato da tutte queste contraddizioni?

C’è chi dice che l’altra metà della mela siamo noi e non occorre nessun altro per completarci. Poi però nel concreto andiamo alla ricerca patologica di conferme che, il più delle volte, ci sminuiscono. Cerchiamo situazioni difficili, quasi impossibili, fiutiamo sfide, perché il fatto di dimostrare che non ci spaventa nulla, che possiamo tutto, ci manda in estasi. Costruire noi stessi, ogni giorno, sulla base della perfezione, crediamo sia il punto di partenza quando, invece è solo l’inizio della distruzione. La nostra!

In fondo, lo diceva anche Fromm, nella sua Psicoanalisi della società contemporanea:

La malattia della civiltà non è tanto nella materiale povertà dei molti quanto nella decadenza dello spirito di libertà e di fiducia in se stessi.

Che cos’è l’atelofobia?

Definita come la paura patologica di non piacere agli altri, l’atelofobia si manifesta come il terrore di “non essere all’altezza”: di una situazione, di un contesto particolare e, nello specifico, degli altri.
Come in tutti i disturbi d’ansia anche l’atelofobia prevede dei meccanismi di difesa in grado di attenuare quegli aspetti ansiogeni che portano, sì, l’individuo ad affrontare meglio una situazione ma anche ad ostacolare il superamento del processo fobico particolare.

Di solito, i comportamenti difensivi messi in atto dai soggetti atelofobici prevedono un modo di parlare tenue, l’allontanamento dello sguardo, nascondere le mani, non intromettersi nelle conversazioni.

Come si manifesta

Chi soffre di atelofobia, solitamente ha sia delle manifestazioni di carattere somatico che psicologico.
Per quanto riguarda l’aspetto somatico, l’atelofobia si presenta con:

  • eccessiva sudorazione;
  • sensazione di soffocamento;
  • palpitazioni;
  • mal di testa;
  • tensioni muscolari;
  • tremori;
  • disturbi del sonno.

Relativamente ai sintomi psicologici, si rilevano:

  • ansia;
  • vergogna;
  • paura di sbagliare;
  • perdita del controllo;
  • assenza di concentrazione;
  • paura del rifiuto.

In casi estremi, i soggetti affetti manifestano manie di controllo, depressione, e aumento del rischio suicidario.

Volendo essere più precisi, ci sono degli atteggiamenti che definirebbero un soggetto atelofobico. La loro classificazione, di seguito riportata potrebbe essere un aiuto a riconoscere il disturbo sia per il soggetto diretto quanto per chi gli sta vicino. Gli atteggiamenti a cui si è accennato sono i seguenti:

  • sentirsi sempre in dovere di giustificarsi agli altri per ciò che si fa/si pensa;
  • rimuginare su quanto gli altri pensano di noi;
  • astenersi dal chiedere aiuto, quando se ne ha bisogno, così da non mostrarsi deboli;
  • non dire mai di no. In questo modo gli altri verranno sempre prima di noi.

Ovviamente concretizzare questi atteggiamenti, significa avvalorare un’autostima già deficitaria di base, continuando a mettere da parte la propria persona, e quindi le proprie esigenze, i propri pensieri e le proprie emozioni, ponendo sempre gli altri come focus della vita personale.

Linking Gap ed Effetto Spotlight

Entrambi i termini vengono utilizzati per descrivere una coppia di aspetti psicologici derivante dalla fobia del non piacere agli altri.

Il linking gap è la tendenza che si ha, quando si conosce qualcuno, a sottovalutare ciò che il nuovo conoscente pensa di noi, ritenendo di non aver fatto una buona impressione da subito. In generale è una situazione che coinvolge il canale di comunicazione poiché si tende, non conoscendo bene la persona con cui si interagisce, ad interpretare male i suoi segnali di interazione.

L’effetto spotlight, invece, si riferisce al peso eccessivo che si attribuisce ad ogni ipotetico errore/imperfezione che si crede di commettere. Questo perché si è convinti di essere continuamente giudicati quando, in realtà, la maggior parte di quello che si fa non è così rilevante, per gli altri, come si tende a credere.

Riflettendo bene, questi attegiamenti celano un misto di egocentrismo e bassa autostima. Costantemente, infatti, si attuano condotte che svalutano la propria persona proprio perché puntano ad una dimensione impossibile da raggiungere, qual è quella della perfezione ma, allo stesso tempo, il fatto stesso di credere di essere ripetutamente giudicati è un modo per ritenersi sempre al centro della vita di qualcun altro.

Cause

L’atelofobia si presenta come fenomeno multifattoriale, nel senso che non scaturisce da una sola causa ma consta di più fattori scatenanti:

  • Fattori genetici. C’è una predisposizione biologica da parte di alcuni soggetti a sviluppare atelofobia;
  • Fattori ambientali. Alcuni soggetti hanno ricevuto un’educazione estremamente rigida da parte di genitori ipercritici;
  • Fattori caratteriali. Alcuni individui hanno la tendenza a sviluppare psicopatologie o un carattere improntato al perfezionismo;
  • Esperienze di vita. In passato, episodi drammatici irrisolti hanno portato la persona a sentirsi inadeguata.

È curioso come oggi, con l’avanzare della tecnologia, il perfezionismo si sia esteso anche ai social. Si parla, infatti, di “perfezionismo digitale”, un atteggiamento diffuso dai mass media che incoraggiano a modificare i propri comportamenti per instillarne di nuovi, che abbiano il sapore della perfezione.

Curare l’atelofobia

L’atelofobia è, certamente, possibile da curare. Attraverso la psicoterapia, infatti, si porta il paziente fobico a familiarizzare con le sue paure ( in questo caso con la paura di non essere perfetti), ad esplorare il fattore scatenante la fobia, analizzandolo e rieducando il soggetto alla gestione delle situazioni, offrendogli la possibilità di comprendere quanto, una circostanza possa essere diversa, se guardata da un’altra angolazione.